Scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa

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APPROFONDIMENTI della nostra redazione

In caso contrario verrebbe compromesso, il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione

Non si possono candidare a ricoprire cariche delle amministrazioni comunali, provinciali o regionali, quei soggetti che abbiano avuto in passato collegamenti con ambienti mafiosi (Comune sciolto per mafia). Se così non fosse, verrebbe compromesso, il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. E’ quanto chiarisce la Cassazione con l’ordinanza di oggi n. 41736.

L’incandidabilità
Si legge nella decisione che la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori che “hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali” prevista dall’articolo 143, comma 11, del Dlgs 267/00, non impone la verifica della commissione di un illecito penale o dell’esistenza dei presupposti per l’applicazione di una misura di prevenzione. Non si tratta, infatti, di una misura sanzionatoria secondo i principi elaborati dalla Corte Edu, ma di una misura interdittiva di carattere preventivo, i cui presupposti di applicazione sono ben individuati e, quindi, prevedibili, disposta all’esito di un procedimento che si svolge nel pieno contraddittorio delle parti (si veda anche la sentenza n. 15038/18). La finalità perseguita dalla norma è di evitare il rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell’amministrazione comunale, rendendo possibili ingerenze al suo interno delle associazioni criminali, possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle già rivestite e, in tal modo potenzialmente perpetuare l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali (sul punto si veda anche la sentenza della Cassazione n. 2749/21).

 

Nota a Cons. St., sez. III, 26 settembre 2019, n. 6435 – Pres. Frattini, Est. Noccelli


a cura del DOTT. AGOSTINO SOLA


In sede di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa gli elementi indicativi del condizionamento criminale devono caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica e la complessiva valutazione degli stessi deve avvenire secondo una logica probabilistica e non già secondo il criterio della certezza raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, propria dell’accertamento penale.


Il caso all’attenzione del Consiglio di Stato riguardava la legittimità dello scioglimento di un consiglio comunale per la ritenuta esistenza di infiltrazioni mafiose negli organi elettivi ed amministrativi dell’ente: da una vasta operazione di polizia era emerso un sodalizio criminale di stampo mafioso che vedeva coinvolti membri del consiglio comunale per aver chiesto e fruito dell’appoggio elettorale dei sodalizi mafiosi locali. Il Prefetto, verificata la sussistenza dei presupposti, esperita la dovuta istruttoria, ha adottato le misure necessarie ex art. 143 del d.lgs. n. 267/2000 (“Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, breviter T.U.E.L.). Alla proposta prefettizia è seguito lo scioglimento del consiglio comunale per decreto del Presidente della Repubblica.

Gli atti con cui si è disposto lo scioglimento degli organi comunali sono stati successivamente impugnati innanzi al TAR Lazio da parte del Sindaco e degli assessori della (già) giunta comunale in ragione dell’asserita insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 143 T.U.E.L. ai fini dell’emanazione del provvedimento dissolutorio, quali i “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata”.

In primo grado, il TAR Lazio, sede di Roma, accoglieva il ricorso ed annullava il provvedimento dissolutorio per la mancata dimostrazione di “un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, tale da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali in quanto tesa a favorire o a non contrastare la penetrazione della suddetta criminalità nell’apparato amministrativo”.

Veniva proposto appello da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo. Il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso in appello e, riformando la sentenza di primo grado, confermava la legittimità dello scioglimento degli organi comunali.

Il Consiglio di Stato, in conformità con la giurisprudenza richiamata – anche di rango costituzionale (C. Cost., sent. n. 195/2019), ha valorizzato i tratti peculiari degli elementi sintomatici del condizionamento criminale nella loro concretezza (quale obiettivo e documentato accertamento di tali elementi nella loro realtà storica), univocità (quale chiara direzione degli elementi verso gli scopi che la misura dissolutoria intende prevenire) e rilevanza (quale elementi idonei a compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale).

Dal complesso di elementi, valutati in maniera “dinamica e sinergica“, anche con riferimento al contesto territoriale, deve emerge un quadro indiziario fondato su presunzioni gravi, precisi e concordanti, ex art. 2729 c.c., che conduca ad una prognosi sfavorevole al sano, limpido, fisiologico esplicarsi delle libertà democratiche nella vita dell’ente, per via dell’inquinamento mafioso.

Elementi che, pur possono non avere tutti, ciascuno singolarmente considerato, le caratteristiche richieste dal novellato art. 143 del T.U.E.L., nel senso sopra precisato, ma sicuramente deve essere il loro complesso a denotarne tali caratteri: la finalità anticipatoria propria della tutela preventiva, infatti, impone una valutazione, retta da una logica probabilistica, sul nesso di interdipendenza tra gli elementi soggettivi – i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con le associazioni mafiose – e quelli oggettivi – tra i quali il regolare funzionamento dei servizi affidati alla pubblica amministrazione.

Il rapporto tra gli elementi sintomatici, la loro intima interconnessione e il loro nesso sistematico, deve apparire altamente probabile e assistita da una valida spiegazione razionale, rispetto alla quale tutte le altre spiegazioni risultino meno plausibili senza che sia necessario il ricorso al criterio della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, propria dell’accertamento penale.

Lo scioglimento di Amministrazioni locali per fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, introdotto nel nostro ordinamento nel 1991 (decreto legge n. 164/1991, ora interamente abrogato), in uno dei momenti più difficili della lotta tra Stato e mafia. La disciplina è stata poi oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni ed è ora compiutamente disciplinata dagli artt. 143-146 del T.U.E.L.; il fenomeno, sebbene risalente, risulta ancora molto attuale: dal 1991 al 26 settembre 2019, infatti, sono stati emanati nel complesso 534 decreti di scioglimento, dei quali 202 di proroga di precedenti provvedimenti; su 332, ne 25 sono stati annullati dai giudici amministrativi. Nei primi nove mesi del 2019, invece, sono stati 13 i decreti di scioglimento emessi. Nel 2018, invece, sono stati 23.