Governance e assetti organizzativi

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Adeguati assetti organizzativi amministrativi e contabili per prevenire la crisi

La guida descrive gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell'impresa, tenendo conto delle nuove disposizioni introdotte con l'entrata in vigore della versione definitiva del Codice della Crisi d’Impresa e…

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Assetti organizzativi, prognosi e gestione della crisi d’impresa. Check list, flussi di cassa prospettici e DSCR. Analisi e metodi operativi

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Diritto dell’impresa in crisi. Crisi e insolvenza, early warning e assetti adeguati, soluzioni negoziate e responsabilità degli amministratori – Aggiornato alla legge n. 147 del 21 ottobre 2021

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APPROFONDIMENTI della nostra redazione

NECESSITÀ DEL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO OLTRE GLI OBBLIGHI DI LEGGE

Inizia così a partire dalla riforma del diritto societario del 2003 un percorso di progressivo innalzamento a rango di precetto normativo delle buone prassi amministrative, culminato da ultimo in una profonda riforma del diritto fallimentare tesa a porre l’enfasi sugli adeguati assetti organizzativi delle imprese quale strumento principale per intercettare tempestivamente le prime avvisaglie degli squilibri economico/finanziari e adottare azioni di risanamento per scongiurare il default.

In questo modo si è voluto suscitare negli imprenditori, anche a fronte delle pesanti responsabilità previste in caso di mancata osservanza delle prescrizioni legali in tema di corretta amministrazione, una forte motivazione al cambiamento delle consuete modalità gestionali, non più adeguate a operare nel turbolento divenire del contesto socio-economico.

In ogni caso, a prescindere dagli obblighi di legge, appare evidente che l’appeal dell’impresa non può essere solo riferito ai risultati e ai rischi attesi ma è da valutare anche in relazione alla sua governance, all’efficienza e all’efficacia della sua organizzazione, al suo livello di cultura manageriale. Non solo, gli inediti accadimenti degli ultimi anni hanno pure comportato la necessità di valutare con grande attenzione le capacità di resilienza delle imprese e come queste siano o meno in grado di riorganizzarsi per adattarsi rapidamente alle circostanze.

Solo attraverso interventi anche su questi ambiti è possibile incontrare il favore di investitori, finanziatori e del mercato.

Al riguardo, le stesse linee guida EBA, dettate alle banche europee per aggiornare i requisiti di accesso al credito delle imprese, hanno recentemente posto l’accento su alcune componenti qualitative con riferimento a strategie, business model, competenze, gestione rischi ESG, risorse chiave e soprattutto sulla pianificazione a breve e medio termine con approccio forward looking, derubricando i consueti parametri basati su garanzie e bilanci consuntivi.

ADEGUATI ASSETTI PER COMPETERE E PREVENIRE LA CRISI

Ne deriva che l’organizzazione d’azienda e la gestione d’impresa, da una parte, non possono prescindere da un consapevole, approfondito e articolato progetto iniziale dell’imprenditore, dall’altra, questo progetto dev’essere supportato da una struttura organizzativa, non solo congrua ma pure flessibile e dinamica, nel tendere al conseguimento degli obiettivi auspicati.

È compito degli amministratori focalizzare detti obiettivi seguendo il piano prestabilito, cui verranno in divenire apportate le modifiche e gli aggiornamenti ritenuti opportuni, a vantaggio dei soci e di tutti gli altri portatori di interesse nei confronti dell’impresa, compreso il mercato e lo Stato.

Non si tratta comunque di concetti nuovi: l’obbligo di istituire gli adeguati assetti, già posto a carico sin dal 1998 delle società quotate e di quelle che svolgono attività di rilevante interesse sociale, con la riforma del diritto societario del 2003 venne esteso alle società per azioni e a quelle soggette alla revisione legale con l’introduzione del principio di corretta amministrazione che dal 2004 assurge al ruolo di nuova clausola generale, a scapito della diligenza, orientando decisamente il quadro normativo verso le migliori prassi e la tecnica, in attuazione dei principi contenuti nella legge delega per la riforma del diritto societario (L. 3 ottobre 2001, n. 366).

Da ultimo, come anticipato, questa nuova consapevolezza del legislatore dell’importanza delle scienze aziendali e soprattutto la constatazione della ormai conclamata, strutturale turbolenza dei mercati con la ricorrenza ultraciclica delle crisi economiche, hanno prodotto una riforma organica della legge fallimentare tesa a estendere a tutte le imprese il dovere di predisporre l’adeguato assetto organizzativo, anche per la rilevazione tempestiva della crisi, a pena di incorrere in una più stringente responsabilità gestoria laddove le necessarie attività non siano state poste in essere o siano risultate, del tutto o in parte, inadeguate.

La versione definitiva del CCI entrata in vigore nel luglio dello scorso anno pone l’accento sulla capacità dell’assetto organizzativo di intercettazione precoce delle avvisaglie della crisi per scongiurare la sua degenerazione in insolvenza anche con il ricorso agli strumenti “potenziati “ di risoluzione.

In tal senso, la stessa aggiunta all’articolo 3 del terzo comma, che “orienta“ decisamente gli adeguati assetti in funzione della rilevazione precoce della crisi, è sintomatica di questo intendimento ma è ragionevole ritenere che non circoscriva affatto, quantomeno per le imprese in forma societaria di maggiore entità, la portata generale del dovere organizzativo posto a carico degli amministratori dal 2004.

In tal senso, diversi Tribunali si sono già pronunciati disponendo a carico di società in bonis provvedimenti mirati a dotarle di assetti organizzativi adeguati e funzionali alla corretta gestione.

L’urgenza conclamata di scongiurare l’insolvenza delle imprese e la liquidazione giudiziale a mezzo di accorgimenti utili a cogliere tempestivamente gli squilibri sintomatici di una crisi imminente, pare così solo voler “semplificare“ l’adozione dell’adeguato assetto organizzativo nelle imprese minori con la prescrizione di un contenuto minimo dell’attività organizzativa, amministrativa e contabile.

Al riguardo occorre, infatti, evidenziare che il legislatore della citata riforma del 2003, nel focalizzare la questione dell’adeguatezza degli assetti, non ha ritenuto di indicare quali fossero i parametri per poter definire adeguati gli stessi assetti, limitandosi a prescrivere nel quinto comma dell’articolo 2381 del Codice civile che gli assetti devono essere “adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa“.

LA PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA

Questa scelta è però coerente con la citata, diretta discendenza del precetto organizzativo dai principi dalla scienza aziendale, in base ai quali è possibile considerare l’organizzazione dell’impresa come un sistema aperto, ovvero un sistema formato da individui e dalle loro reciproche relazioni, individuando così un ambiente ristretto proprio dell’organizzazione, definibile interno che, per progredire, è spinto all’interazione continua con l’ambiente esterno.

Si tratta delle due dimensioni della progettazione organizzativa:

  • le “dimensioni strutturali“ ovvero caratteristiche interne dell’organizzazione d’impresa che mostrano la prevalenza della stabilità o della flessibilità,
  • le “dimensioni contestuali riferibili all’esterno che attengono all’ambiente, con particolare riferimento agli andamenti del settore economico e del mercato di riferimento, al governo e alla giurisdizione, al contesto sociologico, ai mercati del lavoro e finanziari, alla tecnologia e alla cultura d’impresa.

Esse, quindi, determinano in concorso a diverse ulteriori variabili la struttura organizzativa, che peraltro dev’essere caratterizzata da grande dinamismo e adattabilità alla congiuntura, rendendo evidente come non sarebbe stato pensabile determinare aprioristicamente la struttura organizzativa “adeguata”.

Appare così ragionevole la scelta del legislatore del 2003 di non dettare alcuna prescrizione circa la corretta implementazione degli assetti, considerata l’evidente difficoltà a rinvenire modelli esaustivi delle tante variabili da considerare, salvo comunque, il principio della proporzionalità.

In ogni caso, al fine di comprendere la struttura e il funzionamento di un’organizzazione, occorre individuare le singole parti o funzioni che la compongono, con le persone impegnate e i rapporti fra di esse.

Vale a dire che nel complesso meccanismo di funzionamento dell’organizzazione d’impresa è possibile individuare una serie di compiti o mansioni collegati ed interdipendenti che tendono a un fine comune. Il raggruppamento di queste attività omogenee si definisce funzione o area funzionale, a loro volta distinte in funzioni primarie operative e funzioni di supporto alle prime.

Le funzioni si sviluppano in verticale e mostrano la gerarchia.

A livello orizzontale si sviluppa, invece, il processo, ovvero una catena di attività attraverso le quali, partendo da determinati input, si ottengono gli output desiderati. A tale scopo il processo si avvale delle funzioni, collegandole tra loro.

Le funzioni raggruppano attività omogenee, i processi sfruttano diverse attività mettendole a comune denominatore in quanto finalizzate al conseguimento dello stesso risultato.

Pertanto, un processo si dispiega tra più funzioni, al contempo più funzioni si collegano tra loro per la realizzazione di un processo unitario.

La struttura organizzativa può essere graficamente rappresentata dall’organigramma, ovvero dalla rappresentazione visiva dell’intero sistema di attività e processi fondamentali di un’organizzazione; esso ne mostra le varie parti/funzioni, il modo in cui sono collegate in verticale e in orizzontale, la loro posizione nell’insieme da cui rilevare le caratteristiche salienti dell’impresa, a loro volta riconducibili a specifici modelli di business.

In estrema sintesi le principali definizioni a cui è pervenuta la scienza aziendale applicata alle esperienze gestionali, in un rapporto dialettico tra teoria e pratica applicazione, sono due: il “modello meccanico” e il “modello organico”:

  • il modello meccanico è tipicamente più rigido della sua controparte. Presenta una struttura altamente centralizzata. Il potere decisionale riguardo regolamenti e istruzioni da eseguire spetta, quindi, alle figure poste più in alto nei livelli della scala gerarchica. C’è una tendenza all’adozione di collegamenti verticali per la trasmissione delle informazioni e per favorire la funzione di controllo. Dall’operatore più in basso nella piramide aziendale al vertice dell’organizzazione, ogni figura deve riportare informazioni e problemi ad un superiore responsabile, il quale deve dare un feedback. I compiti sono chiaramente definiti e non è ammesso il ricorso al libero arbitrio da parte di un dipendente per lo svolgimento della propria mansione. Vi è un forte ricorso alla burocrazia e alla formalità con regole e procedure ben definite affinché non sia necessaria una comunicazione continua,
  • il modello organico prevede, invece, una struttura scarsamente centralizzata; ciò comporta maggiore flessibilità ed elasticità e rende la struttura più informale ovvero, meno burocratizzata. I dipendenti sono dotati di responsabilità più elevate e vengono tenuti maggiormente in considerazione nel prendere delle decisioni. La comunicazione è diretta per linee orizzontali, tramite sistemi informativi e ruoli di collegamento, gruppi di lavoro, task force e compiti condivisi. La collaborazione viene considerata un valore rilevante e funzionale per il raggiungimento di risultati, difficilmente raggiungibili singolarmente. Il lavoratore può eseguire più compiti e cambiare continuamente ruolo.

Da questi due modelli derivano le tipologie di struttura che un’organizzazione può adottare anche in funzione delle strategie che intende implementare per conseguire i suoi obiettivi fondamentali, la cd. mission, ulteriore elemento che, oltre alla struttura, caratterizza le organizzazioni.

La strategia è il piano per interagire con l’ambiente competitivo al fine di conseguire gli obiettivi di fondo dell’organizzazione che definiscono dove vuole andare l’organizzazione, mentre le strategie definiscono come arrivare all’obiettivo. Michael E. Porter, dallo studio di diverse attività d’impresa, ha individuato tre tipi di strategie competitive: leadership di costodifferenziazione e focalizzazione che, a sua volta, ha distinto in leadership di costo focalizzata e differenziazione focalizzata.

Raymond Miles e Charles Snow hanno ulteriormente approfondito le strategie di business, partendo dal presupposto che le strategie devono essere congrue rispetto all’ambiente esterno dove operano e alla struttura interna delle organizzazioni.

Al riguardo hanno individuato quattro possibili strategie:

  • Esplorazione: consiste nell’innovazione costante e nella ricerca di nuove opportunità di crescita anche assumendo rischi. Si adatta bene alle imprese che cercano di differenziarsi, caratterizzate da una struttura improntata al modello organico, dette anche esploratrici.
  • Difesa: consiste nel cercare di mantenere i risultati ottenuti tramite l’efficienza e il controllo della produzione caratterizzata da affidabilità e alta qualità. Può essere applicata dalle imprese che hanno una leadership di costo e una struttura improntata al modello meccanico, dette anche difensive.
  • Analisi: è quasi una via di mezzo tra le due strategie precedenti, perseguendo la stabilità delle produzioni affermate e collaudate, cercando al contempo di sviluppare nuovi prodotti.
  • Reazione: le imprese che la utilizzano cercano di rispondere alle minacce ambientali o di cogliere, di volta in volta, le opportunità che si presentano, senza avere in realtà alcuna strategia.

Nella definizione di una strategia, in ogni caso, i manager devono tenere conto della presenza o meno di due fattori rilevanti come il vantaggio competitivo e le competenze distintive:

  • un vantaggio competitivo è un quid in più nei confronti dei competitor. Ciò può derivare da una determinata capacità di servire i propri clienti o da una particolare modalità di produzione utilizzata,
  • una competenza distintiva è una speciale competenza posseduta da un’organizzazione che la distingue, appunto, dai suoi concorrenti.

Le scelte strategiche, la presenza di vantaggi competitivi e di particolari competenze distintive determinano le strutture organizzative. La tendenza a una leadership di costo comporta una progettazione orientata all’efficienza e, quindi, al modello meccanico, diversamente un’impresa esploratrice, che investe per creare nuovi prodotti, preferirà l’adozione del modello organico. Nel primo caso si può rinvenire il vantaggio competitivo, nel secondo le competenze distintive.

Al riguardo, come detto, le scelte di progettazione organizzativa possono essere influenzate anche da particolari contingenze riferibili all’ambiente esterno di riferimento. In ogni caso, è bene sottolineare ancora che le strutture organizzative devono essere dotate della indispensabile flessibilità e reattività ai mutamenti delle due dimensioni – strutturali e contestuali – che, come visto, le determinano nella dimensione temporale (sinora sottintesa). Allo stesso modo, la strategia deve evolvere, adeguarsi e mutare a seguito del mutamento dello scenario ove l’organizzazione/impresa opera, per continuare a perseguire i suoi obiettivi di fondo dichiarati nella mission.

Nel tempo, a fronte dell’incremento dell’incertezza, della complessità dei mercati e del profondo mutamento delle abitudini di consumo, di pari passo ai mutamenti della società e dell’ambiente, le organizzazioni più competitive hanno individuato nel modello organico la struttura organizzativa ottimale, proprio in funzione della grande flessibilità che la contraddistingue, rispetto al modello meccanico – che resta tuttavia adatto alle imprese la cui attività è abbastanza indifferente alla congiuntura, come nel caso dei beni essenziali – rendendola in grado di evolversi, adattandosi rapidamente alle diverse congiunture.

Non solo, l’esigenza di essere flessibili e competitive ha spinto le imprese verso l’instaurazione di collaborazioni e relazioni stabili con le altre imprese, operanti o meno nella stessa filiera, arrivando talvolta anche a collaborare con le imprese concorrenti.

Queste vere e proprie strategie collaborative si realizzano tramite l’esternalizzazione o outsourcing di parte o di tutte le attività produttive di supporto a mezzo dell’instaurazione di stabili rapporti di partnership con imprese della catena di approvvigionamento o supply chain, focalizzando il proprio core business.

La collaborazione strategica si può anche concretizzare tramite accordi e alleanze tra imprese operanti nel medesimo ambito produttivo o geografico per l’ottenimento di economie di scala e la condivisione di alcuni rischi.

Naturalmente, le superiori considerazioni di natura microeconomica e aziendalistica valgono per le imprese medio-grandi seppure offrano importanti spunti di riflessione utili alle micro-Pmi, specie in riferimento alle strategie operative.

IL CONTENUTO DEGLI ADEGUATI ASSETTIORGANIZZATIVI

Occorre comunque precisare che la progettazione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili delle imprese, al fine di soddisfare il criterio legale dell’adeguatezza in funzione delle sue dimensioni e natura, rimane una insindacabile scelta gestoria nel rispetto del principio di libertà dell’iniziativa economica a meno che questa scelta non sia stata ab origine economicamente e oggettivamente inopportuna, in base al principio della Business Judgement Rule o BJR.

Tuttavia, non si può non notare come questa libertà sia stata comunque già compressa dalle particolari norme che regolano specifici settori di interesse collettivo come l’ambiente, la sicurezza del lavoro, il riciclaggio e la prevenzione della criminalità economica, la privacy, la tutela degli azionisti di minoranza che com’è noto impongono alle imprese specifici obblighi di organizzazione interna. Giova anche ricordare, in tema di responsabilità degli enti e compliance, il modello organizzativo ex Dlgs 231/2001.

Adesso, il criterio dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo introdotto dalla riforma, che appare collocato al di sopra delle prescrizioni sopra richiamate, impone alle imprese un ulteriore vincolo organizzativo a tutela dell’interesse superiore dello Stato al buon andamento dell’economia e in subordine, di tutti gli altri stakeholder.

Ciò posto, occorre iniziare a delineare i contenuti indispensabili degli assetti organizzativi affinché gli stessi possano ritenersi adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa.

Come anticipato, è possibile distinguere tra:

  • gli assetti prescritti dalla riforma del diritto societario del 2003 che si ritiene essere una declinazione del principio di corretta amministrazione, posti a carico delle società soggette al controllo legale dei conti o alla vigilanza del Collegio sindacale,
  • i nuovi vincoli organizzativi introdotti dall’articolo 3 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (Dlgs 14/2019) posti a carico di tutte le imprese collettive,
  • le misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e ad assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte che l’imprenditore individuale deve adottare.

Negli ultimi due casi, come pure evidenziato in precedenza, il legislatore ha ritenuto a differenza del primo, di dettare alcune indicazioni utili a definire il contenuto degli assetti, chiarendo in primis che la funzione degli adeguati assetti e delle misure idonee è quella di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa, precisando con l’aggiunta del comma 3 che entrambi devono consentire di:

“a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore;

b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4;

c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, al comma 2”.

Volendo, comunque, provare a formulare un elenco di contenuti minimi di un assetto che possa costituire per qualunque imprenditore un valido scudo a fronte delle pesanti responsabilità derivanti in caso di default, bisogna partire dal noto obbligo di tenuta delle scritture contabili posto a carico degli imprenditori dall’articolo 2214 del Codice civile:

“L’imprenditore che esercita un’attività commerciale [2195, 2205] deve tenere il libro giornale [2215, 2216; 634 c.p.c.] e il libro degli inventari [2217].

Deve altresì tenere le altre scritture contabili [1760, n. 3, 2312] che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite [2220, 2560, 2709, 2711].

Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori [2083, 2221]”.

Da notare che anche in questo caso si pone l’accento sulla natura e sulle dimensioni dell’impresa in punto di tenuta delle altre scritture contabili necessarie; ne deriva, evidentemente, che per tenere le scritture contabili obbligatorie, a meno di non delegare strutture esterne, occorre implementare in azienda un’apposita funzione che se ne occupi e dotarla dei necessari supporti informatici per l’elaborazione dei dati.

Questa funzione amministrativa, oltre ad adempiere agli obblighi di natura fiscale, deve anche essere almeno in grado di:

  • quantificare il costo di trasformazione/erogazione del proprio prodotto/servizio e definire le variabili che dinamicamente lo influenzano (ad esempio le economie di scala,
  • definire i margini e un congruo listino in funzione delle predette dinamiche dei costi e di quelle relative all’andamento del mercato e dei consumi,
  • costruire un piano industriale e i budget di produzione e tesoreria,
  • ottenere un’efficace rendicontazione utile a individuare gli scostamenti dai dati programmatici e le possibili cause, così come gli squilibri economico-finanziari, fornendo nel caso i dati necessari per la valutazione all’accesso alla composizione negoziata della crisi o agli altri strumenti di risoluzione della crisi,
  • monitorare costantemente gli andamenti delle vendite ai clienti, la loro solvibilità e la produttività degli addetti,
  • individuare e monitorare le minacce e le opportunità per il proprio business.

A partire da questo assetto minimale, adatto alle realtà di minori dimensioni, fermo restando il business model in atto a prescindere dalla sua formalizzazione o meno, al crescere della complessità occorre procedere a:

  • redazione di un organigramma da cui evincere chiaramente le funzioni aziendali, i processi, le linee di collegamento gerarchiche verticali e orizzontali, con particolare riferimento all’area strategica dove vanno esplicitati i ruoli di indirizzo, guida e controllo, redazione del funzionigramma da cui rilevare delegheprocure e poteri di firma. Al contempo per ogni funzione, occorre stabilire i compiti e le responsabilità di ciascun operatore in base alle rispettive competenze, formalizzando procedure e manuali operativi utili anche alla precisazione dei contenuti e della tempistica dei flussi informativi,
  • tempestiva identificazione e aggiornamento costante delle opportunità e delle minacce ai fini dell’implementazione del sistema di controllo interno e di risk management,
  • individuazione dei fattori determinanti i risultati della gestione o KPI (Key Performance Indicators) da coniugare con le minacce/opportunità. Redazione di un piano industriale con orizzonte almeno quinquennale e dei budget annuali con previsione di differenti scenari e di stress test in base alle variabili di rischio. Redazione di budget finanziari periodici. Implementazione del sistema di controllo di gestione, di pianificazione economico/finanziaria, di determinazione e monitoraggio del fabbisogno finanziario. Redazione di accurati report periodici ai fini del confronto con i dati previsionali,
  • implementazione di un adeguato sistema di rilevazione dei fatti contabili che assicuri la regolare tenuta della contabilità generale e delle contabilità elementari, il tempestivo aggiornamento anche ai fini della redazione di puntuali situazioni contabili con l’applicazione degli indici rappresentativi dell’equilibrio economico finanziario a cadenza almeno trimestrale. Il sistema di rilevazione e elaborazione dati contabili assume, infatti, una funzione di database per l’implementazione degli strumenti di programmazione, pianificazione, monitoraggio e controllo di gestione e deve necessariamente fornire una ragionevole garanzia in merito all’attendibilità, all’affidabilità e alla veridicità dei dati, affinché tali strumenti consentano l’emersione anticipata della crisi e la salvaguardia del going concern, oltre ad agevolare la gestione e risoluzione della crisi anche con il ricorso agli strumenti previsti dal nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza.

Un utile supporto all’attività di cognizione o ricognizione degli assetti organizzativi è stato prodotto dalla Fondazione Nazionale di Ricerca dei Commercialisti (FNC) che ha pubblicato, lo scorso 7 luglio, il documento “Assetti organizzativi, amministrativi e contabili“, con il quale si analizza la disciplina in materia di istituzione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili per le imprese che operano in forma societaria o collettiva, nonché delle “misure” previste per gli imprenditori individuali, fornendo inoltre diversi contributi di natura aziendalistica.

LA TECNOLOGIA ERP

Come visto, è indispensabile dotarsi di un sistema gestionale tale da semplificare le rilevazioni contabili, la riclassificazione e la condivisione dei dati inputati.

I moderni sistemi basati sulla tecnologia ERP (Enterprise Resource Planning,  letteralmente “pianificazione delle risorse d’impresa”, è un software di gestione che integra tutti i processi di business rilevanti di un’azienda e tutte le funzioni aziendali, ad esempio vendite, acquisti, gestione magazzino, finanza) consentono queste attività che risultano facilitate dalla fatturazione elettronica e dalla IA (che oggi riesce anche a svolgere automaticamente diverse attività tra cui, ad esempio, la riconciliazione dei movimenti bancari).

Tipicamente, un software gestionale raccoglie e consuntiva dati e informazioni nelle diverse aree di attività. L’ERP, invece, in quanto parte integrante del sistema organizzativo dell’azienda, permette di controllare e dirigere l’intero apparato tecnologico e operativo aziendale dando una prospettiva inedita alla governance.

Mettendo a sistema tutti i flussi dei dati e incrociando le informazioni attraverso le correlazioni più opportune, infatti, l’ERP non solo agevola la contabilità ma aiuta anche i manager a capire cosa fare (ad esempio quando acquistare, da quali fornitori, in che quantità e in che modalità).

Questo perché l’ERP tiene pure traccia dei tempi e dei modi della produzione così come dell’andamento dell’offerta e della domanda per favorire un approccio predittivo anche nel medio termine. La disponibilità informativa include i dati di lavorazioni, componenti o materie prime necessari a produrre un articolo o a erogare un servizio, la consistenza di magazzino, il personale e le dotazioni tecniche disponibili in azienda o presso i fornitori, i costi o i tempi di approvvigionamento e, in genere, tutti i dati riferibili all’attività business aziendale.

APPLICAZIONE PRATICA

Sulla scorta delle superiori prescrizioni, di seguito una proposta di “assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa“ che le imprese operanti in forma societaria e collettiva devono instituire “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale“ e al fine “di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale“, a norma del novellato articolo 2086 del Codice civile che in pratica, ha esteso a tutte le società gli obblighi già posti dal quinto comma dell’articolo 2381 dello stesso Codice a carico delle società soggette alla revisione legale.

Il modello è riferito a una Pmi industriale appartenente a quest’ultima tipologia societaria: l’assetto organizzativo è espresso dall’organigramma che mostra la collocazione delle unità funzionali nella struttura (funzionale con enfasi sui collegamenti orizzontali) e i flussi relazionali e informativi con cui sono collegate.

Nel cuore della struttura si nota il sistema informativo (basato sulla tecnologia ERP) che raccoglie e distribuisce le informazioni provenienti dalla funzione di gestione delle attività produttive – dove sono presenti le funzioni di controllo qualità e il CRM – ed elabora e sviluppa le contabilità generali e elementari.

Dal sistema informativo arrivano le informazioni utili al controllo di gestione, alla finanza aziendale, al sistema integrato di compliance (Fisco, antiriciclaggio, GDPR, sicurezza sul lavoro ecc.) e risk management.

Si tratta delle funzioni (evidenziate in neretto nel grafico a pagina seguente) che forniscono gli indirizzi gestionali strategici al management e devono anche svolgere il presidio posto dall’articolo 2086 alla crisi e alle minacce di perdita del going concern per valutare, nel caso, gli opportuni interventi, tra cui anche il ricorso agli strumenti ordinamentali, per il superamento delle fasi di criticità.

Assetti organizzativi così formulati, oltre a “scudare“ gli imprenditori dalle responsabilità, possono  consentire una gestione più efficace e efficienteaccrescendo il valore dell’impresa.

I PROFESSIONISTI E GLI ADEGUATI ASSETTI

Fermo restando, come visto in precedenza, che il dovere organizzativo è posto a carico degli imprenditori e degli amministratori delle imprese in forma societaria, è evidente come entrambi, a tale scopo, possano utilmente avvalersi, oltre alle risorse interne alle imprese, anche di specifiche competenze professionali in occasione dell’implementazione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e ai fini della valutazione di adeguatezza che, come visto, va effettuata costantemente nel tempo. La focalizzazione degli assetti in funzione anticrisi, come visto, comporta inoltre la necessità del controllo di gestione e del risk management, che costituiscono ulteriori ambiti di intervento dei professionisti della consulenza aziendale.

Ciò premesso, occorre ricordare il diretto coinvolgimento degli Organi di controllo delle società, nell’ambito della propria attività di vigilanza sui principi di corretta amministrazione e ai fini della valutazione di adeguatezza degli assetti organizzativi che l’articolo 2403 del Codice civile pone a carico del Collegio sindacale (come visto, già dal 1° gennaio 2004), mentre, per altri versi, il focus sulla permanenza della continuità aziendale e la rilevazione tempestiva delle prime avvisaglie della crisi coinvolge oltre ai Sindaci anche il Revisore legale in occasione della relazione al bilancio d’esercizio e del giudizio circa l’appropriato utilizzo del going concern da parte dell’organo amministrativo.

LA GIUSTIZIA RIPARATIVA “IN PILLOLE”

L’istituto della giustizia riparativa, introdotto dal Titolo IV del Dlgs 150/2022 (articoli da 42 a 67), si concretizza nell’elaborazione di specifici programmi, guidati da mediatori esperti ed indipendenti (iscritti nell’apposito elenco ministeriale di cui al Dm 9 giugno 2023: in «Guida al diritto», 2023, n. 28, pagina 23 e seguenti) che mettono in contatto principalmente la vittima del reato e la persona indicata come autore dell’offesa, ma anche qualsiasi altro interessato (familiare della vittima o del presunto autore del reato, rappresentanti di enti e associazioni, servizi sociali, autorità di Ps), al fine di giungere ad un esito riparativo, simbolico o materiale, che ricostituisca il rapporto tra le persone coinvolte e l’intera comunità. Si tratta di un servizio volto a favorire, ai sensi dell’articolo 42, comma 1, lettera e), Dlgs 150/2022 la «riparazione dell’offesa, […] l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti» (categoria, quest’ultima, non limitata ai soli autore del reato e vittima).

In breve, la restorative justice è improntata sull’idea che, attraverso la “pena agìta” (in luogo della “classica” pena subìta), chi viene punito possa riconciliarsi con la vittima del reato e con lo Stato, mediante condotte attive di tipo riparatorio o anche risarcitorio.

Cardini del sistema riparatorio sono la volontarietà della partecipazione, la libertà del consenso (che può essere ritirato in qualsiasi momento), la gratuità dei programmi, la riservatezza delle dichiarazioni rilasciate e delle attività svolte nel corso dei programmi. Speciali garanzie sono riconosciute ai partecipanti minorenni, in conformità con i principi internazionali.

I programmi di giustizia riparativa sono esperibili non solo in qualunque stato e grado del procedimento penale, ma anche nella fase esecutiva della pena, o della misura di sicurezza o dopo l’esecuzione delle stesse, nonché a seguito di sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere.

I programmi sono offerti dai Centri per la giustizia riparativa – istituiti presso ciascun distretto di Corte d’appello – e sono coordinati dalla Conferenza locale per la giustizia riparativa; a livello nazionale, è il Ministero della giustizia a svolgere funzioni di programmazione e di monitoraggio, coadiuvato dalla Conferenza nazionale.

Sui programmi di giustizia riparativa, l’Autorità giudiziaria procedente esercita un’attività di valutazione, fermo restando che il mancato svolgimento del programma, la sua interruzione o il non raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli sulla persona indicata come autore dell’offesa. A tal fine il mediatore redige una relazione finale da inviare all’Autorità giudiziaria, cui deve essere riferito (non il contenuto delle dichiarazioni) ma l’esito (riparativo, in caso positivo) del percorso.

 

Finalità del trattamento

Il successivo articolo 4 del Dm in disamina elenca, in modo tassativo ed esaustivo, le finalità sottese al trattamento delle tipologie di dati precedentemente indicate, siccome connesse anzitutto all’organizzazioneconduzione e gestione degli esiti del programma da parte del mediatore esperto, ma anche alle conseguenti comunicazioni all’Ag procedente (alla quale deve essere riferito – si badi – non il contenuto delle dichiarazioni ma l’esito del percorso).

QUALI SONO LE NORME SULLA GIUSTIZIA RIPARATIVA IN VIGORE DAL 30 GIUGNO 2023

Il comma 2-bis dell’articolo 92 del Dlgs n. 150/2022 – introdotto in sede di conversione dall’articolo 5-novies del Dl n. 162/2022, come modificato dalla legge n. 199/2022 – ha differito di sei mesi (decorrenti dal 30 dicembre 2022: articolo 99-bis Dlgs n. 150/2022) l’entrata in vigore delle norme della riforma Cartabia in materia di giustizia riparativa.

Il termine semestrale individuato dal Parlamento coincideva con la conclusione dell’attività di monitoraggio e ricognizione dei servizi esistenti alla data di entrata in vigore della riforma Cartabia assimilabili a quelli di giustizia riparativa.

Dal 30 giugno scorso è definitivamente spirato il regime transitorio e sono dunque entrate definitivamente in vigore le norme contenute nel Dlgs n. 150/2022 disciplinanti l’inserimento della giustizia riparativa nelle varie fasi del procedimento penale e dell’esecuzione della pena (anche riguardante i minori), oltre che in alcuni aspetti del diritto penale sostanziale. Si tratta, in particolare, delle seguenti disposizioni contenute nel Dlgs n. 150/2022:

  • l’articolo 1, comma 1, lettera b), che interviene sull’articolo 62 Cp, riguardante le circostanze attenuanti comuni del reato, introducendo all’ultima parte del n. 6 la circostanza correlata all’aver l’imputato partecipato a un programma di giustizia riparativa conclusosi con esito riparativo. La nuova circostanza si applica soltanto a seguito della valutazione del giudice circa il rispetto di detti impegni;
  • l’articolo 1, comma 1, lettera h), n. 2), che interviene sull’articolo 152 Cp al fine di introdurre, quale ipotesi di remissione tacita della querela, la circostanza che il querelante abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo, purché gli impegni eventualmente assunti in tale sede siano stati rispettati dall’imputato;
  • l’articolo 1, comma 1, lettera l), che modifica l’articolo 163 Cp in materia di sospensione condizionale della pena, inserendo (all’ultimo comma) un ulteriore caso di sospensione condizionale della pena derivante dallo svolgimento di condotte riparatorie nell’eventualità in cui il colpevole abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa conclusosi con esito riparativo;
  • l’articolo 5, comma 1, lettera e), n. 5), che, intervenendo sull’articolo 90-bis Cpp, amplia il catalogo di informazioni dovute alla persona offesa: in particolare, si prevede che la persona offesa sia informata sulla facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (lettera p-bis) e che la partecipazione del querelante a un programma di giustizia riparativa che si conclude con esito riparativo comporta la remissione tacita di querela (lettera p-ter);
  • l’articolo 5, comma 1, lettera f), che introduce l’articolo 90-bis.1 Cpp, in cui si prevede che la vittima del reato, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, venga informata in una lingua a lei comprensibile della facoltà di svolgere un programma di giustizia riparativa;
  • l’articolo 7, comma 1, lettera c), che introduce l’articolo 129-bis al Cpp in materia di accesso ai programmi di giustizia riparativa, nel quale si dispone che, in ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria debba, su richiesta o anche di propria iniziativa, inviare i soggetti interessati – ossia l’imputato o l’indagato e la vittima del reato, ove individuata – al Centro per la giustizia riparativa di riferimento (cioè quello del luogo o altro indicato dal giudice stesso);
  • l’articolo 13, comma 1, lettera a), che inserisce all’articolo 293, comma 1, Cpp, la lettera i-bis) affinché, nell’ambito dell’accesso ai programmi di giustizia riparativa, l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria informino il soggetto destinatario dell’esecuzione di una misura cautelare circa la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 18, comma 1, lettera c), n. 2), che interviene sull’articolo 369 Cpp, introducendo il comma 1-ter che stabilisce che il Pm inserisca all’interno dell’informazione di garanzia anche l’avviso per la persona sottoposta alle indagini e per la persona offesa della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 19, comma 1, lettera a), n. 1), che modifica l’articolo 386 Cpp sui doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo prevedendo l’obbligatorietà, nella comunicazione scritta che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o il fermo consegnano all’arrestato o al fermato, di informarlo circa la facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 22, comma 1, lettera e), n. 3), che modifica l’articolo 408 Cpp prevedendo, con riguardo all’avviso di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, che la notifica dello stesso alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta è esclusa in caso di remissione della querela e che nell’avviso stesso deve essere contenuta l’informazione alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 22, comma 1, lettera f), che modifica l’articolo 409 Cpp, specificando che la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa devono essere informate della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 22, comma 1, lettera l), n. 2), che interviene sull’articolo 415-bis Cpp, prevedendo che l’avviso della conclusione delle indagini preliminari deve informare l’indagato e la persona offesa che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa,
  • l’articolo 23, comma 1, lettera a), n. 2, che reca modifiche di coordinamento all’articolo 419 Cpp sugli atti introduttivi, precisando che la notifica all’imputato e alla persona offesa dell’avviso del giorno, dell’ora e del luogo dell’udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero rechi anche l’informazione all’imputato e alla persona offesa della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 23, comma 1, lettera n), n. 1), che modifica l’articolo 429 Cpp integrando il contenuto del decreto che dispone il giudizio con l’avviso all’imputato e alla persona offesa, della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa
  • l’articolo 25, comma 1, lettera d), che interviene sull’articolo 447, comma 1, Cpp introducendo l’obbligo di indicare, nel decreto di fissazione dell’udienza sulla richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari, l’informazione alla persona sottoposta alle indagini della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 28, comma 1, lettera b), n. 1), che interviene sull’articolo 460 Cpp disponendo che nel decreto di condanna sia inserito l’avviso all’imputato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 29, comma 1, lettera a), n. 4), che interviene sull’articolo 464-bis Cpp disponendo che il programma di trattamento elaborato, d’intesa con l’Uepe, in caso di sospensione del procedimento con Map, debba prevedere lo svolgimento di programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 32, comma 1, lettera b), n. 1), lettera d), che novella l’articolo 552 Cpp, relativo al contenuto del decreto di citazione a giudizio, prevedendo che debba contenere l’avviso che l’imputato e la persona offesa hanno facoltà di accedere a un programma di giustizia riparativa;
  • l’articolo 34, comma 1, lettera g), n. 3), che modifica l’articolo 601 Cpp, disponendo che il decreto di citazione per il giudizio di appello debba contenere l’avviso all’imputato e alla persona offesa che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 38, comma 1, lettera a), n. 1), che interviene sull’articolo 656, comma 3, Cpp, in materia di esecuzione delle pene detentive, per stabilire che l’ordine di esecuzione a pena detentiva deve contenere anche l’avviso riguardante la possibilità per il condannato di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 38, comma 1, lettera c), che modifica l’articolo 660 Cpp, prevedendo che l’ordine di esecuzione delle pene pecuniarie deve informare il condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’articolo 41, comma 1, lettera c), che introduce l’articolo 45-ter nelle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Cpp al fine di individuare il giudice competente in ordine all’accesso alla giustizia riparativa (Gip, a seguito dell’emissione di un decreto di citazione diretta a giudizio; il giudice che ha emesso la sentenza, dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti in seguito ad impugnazione provvede; il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, durante la pendenza del ricorso per cassazione);
  • l’articolo 72, che interviene sull’articolo 29, comma 4, del Dlgs n. 274/2000, in materia di procedimenti di competenza del giudice di pace, stabilendo che il giudice onorario, quando il reato è perseguibile a querela, debba promuovere la conciliazione tra le parti, per la quale può avvalersi dei Centri per la giustizia riparativa presenti sul territorio;
  • l’articolo 78, comma 1, che modifica alcune disposizioni dell’ordinamento penitenziario (legge n. 354/1975), disponendo che nei confronti dei condannati e degli internati sia favorito il ricorso a programmi di giustizia riparativa (lettera a); che la partecipazione al programma di giustizia riparativa (cui si può accedere su base volontaria in qualsiasi fase dell’esecuzione) e l’eventuale esito riparativo sono valutati ai fini dell’assegnazione al lavoro all’esterno, della concessione dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione, mentre non si tiene conto della mancata effettuazione del programma, dell’interruzione dello stesso o del mancato raggiungimento di un esito riparativo (lettera b); che in tema di affidamento in prova al servizio sociale del condannato, è consentita la valutazione dello svolgimento di un programma di giustizia riparativa e l’eventuale esito riparativo, ai fini dell’estinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto penale, ad eccezione delle pene accessorie perpetue (lettera c);
  • l’articolo 83, che modifica l’articolo 28, comma 2, del Dpr n. 448/1988, in materia di processo penale minorile, al fine di adeguare la disciplina vigente, anche per i minorenni, alle linee direttrici in tema di partecipazione ai programmi di giustizia riparativa previste dal Dlgs 150/2022, in particolare in tema di sospensione del processo e messa alla prova;
  • l’articolo 84, che interviene sull’ordinamento penitenziario minorile (Dlgs n. 181/2018), sostituendo, all’interno del comma 2 dell’articolo 1, i percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato con i programmi di giustizia riparativa previsti dalla riforma e inserendo un nuovo articolo 1-bis (rubricato “Giustizia riparativa“), recante disposizioni relative all’accesso ai programmi di giustizia riparativa a favore dei minorenni condannati, rimettendo all’Ag minorile la facoltà di disporre in qualsiasi fase dell’esecuzione l’invio dei minorenni condannati, previa adeguata informazione e su base volontaria, ai programmi di giustizia riparativa. Inoltre il giudice minorile, ai fini dell’adozione delle misure penali di comunità e delle altre misure alternative, valuta la partecipazione al programma di giustizia riparativa e l’eventuale esito riparativo. La disposizione precisa che in ogni caso non si tiene conto della mancata effettuazione del programma, dell’interruzione dello stesso o del mancato raggiungimento di un esito riparativo.