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APPROFONDIMENTI della nostra redazione

Social network sotto il tiro incrociato dell’Antitrust, per mancata vigilanza sui contenuti illeciti postati dagli utenti, e della Guardia di finanza per omessa dichiarazione dell’Iva. Il nucleo speciale antitrust delle Fiamme gialle e funzionari dell’Authority ieri hanno eseguito un’ispezione nella sede italiana di Tik Tok, il social cinese molto in voga tra i giovani e giovanissimi e anche molto nel mirino dei servizi di sicurezza occidentali – dagli Usa all’Ue, passando per l’Australia – perché considerato potenziale mezzo di spionaggio. Il blitz dell’Antitrust fa riferimento alla «mancata predisposizione di adeguati sistemi di monitoraggio per vigilare sui contenuti pubblicati dai terzi (utenti, ndr ), secondo i parametri di diligenza richiesti, e soprattutto in presenza di fruitori del servizio particolarmente vulnerabili quali i minori». All’attenzione dell’Authority e dei militari c’è, in particolare, la sfida della cosiddetta “cicatrice francese”, un fenomeno di autolesionismo di massa molto “promosso” sul social in piena violazione delle stesse policy di Tik Tok. Policy pubblicate e chiarissime nel mettere al bando ogni forma di incentivazione di suicidi, autolesionismo e alimentazione scorretta ma che in realtà – sospettano gli inquirenti – non sono state azionate dalla sorveglianza interna della piattaforma. Al contrario, gli algoritmi e la AI, come normalmente avviene nell’iperspazio digitale, avrebbero targettizzato (e perciò bersagliato) utenti interessati o semplicemente incuriositi da contenuti viralizzati nonostante la loro pericolosità. L’algoritmo che sovrintende al funzionamento della piattaforma, secondo gli investigatori, «personalizza la visualizzazione della pubblicità e ripropone contenuti simili a quelli già visualizzati», soprattutto laddove l’utente ha messo un “like”. Sospetti respinti dal social network: «Collaboreremo pienamente con le autorità per rispondere a qualunque domanda relativa sulle nostre policy e procedure» ha detto un portavoce di TikTok, aggiungendo che «oltre 40mila professionisti dedicati alla sicurezza lavorano per mantenere la nostra community al sicuro prestando particolare attenzione a proteggere gli adolescenti. Non autorizziamo contenuti che mostrino o promuovano attività o sfide pericolose». E sempre ieri il comandante generale della Gdf, Giuseppe Zafarana, in audizione alla Commissione difesa della Camera, in riferimento a inchieste già in corso (tra le altre, quella contro Meta della Procura di Milano resa pubblica a febbraio, ndr ) ha spiegato il nuovo approccio investigativo in materia di evasione Iva dei social network: «Io multinazionale – ha detto Zafarana – metto a tua disposizione una piattaforma sulla quale tu puoi usufruire di certi servizi, ad esempio di comunicazione con altri soggetti, ma in cambio utilizzo i tuoi dati e questa è un’operazione rilevante ai fini Iva». A Meta la Gdf contesta 870 milioni di evasione in sette esercizi: un “teorema” facilmente estensibile ad altri operatori.

Negli ultimi anni i social networks hanno fortemente influenzato il comportamento degli utenti in tutti i settori, se nel comparto degli acquisti si è passati dal paradigma di e-commerce a quello di social commerce – un sistema di vendita e acquisto che inizia dalla promozione sui social – il quale sta generando un aumento di fatturato con una previsione di crescita di 200-300 miliardi all’anno; il settore dell’influencer marketing sta, però, da alcuni anni veicolando anche il mercato dell’informazione.

Da un’analisi dei dati (Digital News Report 2022) è emerso, infatti, che del 75% degli italiani che dichiarano di preferire l’informazione online a quella offline, il 47% utilizza i social networks anche per informarsi, acquisendo non solo notizie di attualità, ma anche nozioni di base a livello sociale, storico e culturale.

Il motivo? In cima al podio c’è la gratuità dei contenuti condivisi, che possono essere reperiti senza dover sottoscrivere abbonamenti ai giornali; poi c’è la varietà o, meglio, la targhettizzazione delle informazioni che ci interessano, rilevate dai numerosi algoritmi che conoscono ormai, meglio di noi, le nostre preferenze; segue la caratteristica principale dei social, ovvero il connubio tra contenuti testuali e visivi, che rendono più fruibile la notizia senza appesantire l’esperienza dell’utente e, infine, ci sono le opinioni, che influenzano moltissimo la scelta e le credenze degli altri utenti, volenti o nolenti.

I più giovani preferiscono informarsi su Instagram e YouTube, mentre le persone oltre i 35 anni continuano a preferire Facebook. Una nota a parte la merita TikTok, il social dei giovanissimi, che sta diventando un canale di informazione molto in voga tra gli adolescenti; citando un caso mediatico recentissimo, TikTok ha, infatti, avuto un ruolo centrale nel supporto globale alla campagna vaccinale dell’Oms contro il covid-19, per la quale era stata lanciata la challenge con l’hashtag #l’appuntamentopiùimportante che è stato di fortissimo impatto per gli utenti tra i 10 e i 29 anni.

I social media, in particolare Instagram e TikTok, sono diventati quindi il mezzo preferito dei giovani per informarsi e crearsi una propria opinione sostituendo, spesso, motori di ricerca, testate giornalistiche e blog di informazione; se da un lato gli influencer, in alcuni casi, sono diventati veri e propri opinion makers specializzandosi anche in contenuti di alto livello culturale, artistico, scientifico, ambientale ed economico che divulgano, rendendoli accessibili ai più. Dall’altro lato c’è il rischio che, senza un lavoro rigoroso di selezione delle informazioni e divulgazione delle stesse, i social possano diventare un veicolo di disinformazione.

Un esempio? All’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, TikTok è stato chiamato in causa per la pubblicazione di video falsi o fuorvianti, come nel caso della diffusione di immagini di conflitti precedenti in cui erano coinvolti altri Paesi o di video totalmente contraffatti. O, per citare un altro caso, la divulgazione del filmato sull’uso di farmaci equini per curare il virus COVID-19 o di erbe tossiche per indurre un aborto.

La libertà d’espressione costituisce uno dei principi cardine delle nazioni europee, Italia compresa. L’art. 21 della Costituzione recita che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, in accordo con l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE).

Suddetto diritto può subire dei limiti in alcune circostanze, una di queste è legata senz’altro alla lotta alle fake news.

Se i contenuti delle testate giornalistiche sono legati alla deontologia e al diritto dell’informazione i quali prevedono che la natura della fonte non esonera mai il giornalista dall’onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, così da sopprimere ogni dubbio sulla sua veridicità, i social media – nonostante abbiano il loro codice etico (la Digital Chart) che dovrebbe limitare le fake news – non sono ancora dotati di un meccanismo di controllo rigoroso relativo alla diffusione delle notizie esponendo – alcune volte – le persone, a causa della viralità del web, a una vera e propria infodemia o epidemia di fake news. Una recente indagine di NewsGuard ha riscontrato che considerando un campione di ricerche su importanti argomenti di cronaca presenti su TikTokquasi il 20% dei video che appaiono come risultati contengono disinformazione.

Un altro grosso rischio a cui possono andare in contro gli utenti utilizzando la piattaforma come principale – e unico – canale di informazione è la confirmation bias: quando le persone effettuano una ricerca, spesso lo fanno per confermare una loro ipotesi, rischiando di finire in una tana confortevole in cui si sentono protetti perché circondati esclusivamente da opinioni con cui concordano e che, quindi, confermano le loro convinzioni.

Per sfruttare a pieno la grande potenzialità dei social network come strumento di informazione e di apprendimento – sempre più efficace verso le nuove generazioni – è necessario quindi una regolamentazione che tuteli l’intero settore dalle derive a cui un vuoto giuridico può condurre. Come osserva la Commissione Europea, la crescita del ruolo della tecnologia digitale nella nostra vita durante la pandemia ha evidenziato l’importanza di garantire che l’ecosistema online sia uno spazio sicuro e ha dimostrato che, nonostante i notevoli sforzi compiuti finora, permane l’urgente necessita` di intensificare l’impegno per combattere la disinformazione.

A tal proposito, recentemente è stato approvato dal Parlamento Europeo il regolamento sui servizi digitali ( Digital Service Act ) che rappresenta una delle misure chiave nell’ambito della Strategia europea per il digitale e che dovrebbe avere un impatto importante sulla diffusione delle fake news. Il provvedimento impone alle Big Tech una maggiore responsabilità sui contenuti illegali o nocivi che circolano sulle loro piattaforme.

Questi devono valutare essi stessi i rischi associati all’uso dei loro servizi e mettere in atto i mezzi adeguati per rimuovere i contenuti problematici, verrà loro imposta una maggiore trasparenza sui dati e sugli algoritmi di raccomandazione. Saranno verificati una volta all’anno da organismi indipendenti e posti sotto la supervisione della Commissione Europea, che può infliggere loro sanzioni.