Cybercrime e cybersecurity

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APPROFONDIMENTI della nostra redazione

L’indirizzo della Corte di Giustizia UE, in coerenza con la previsione, di cui alla Direttiva 2001/29/CE sul diritto d’autore, di “alto livello di protezione” da assicurare opere protette diffuse in Rete, è di restringere il concetto di intermediario della comunicazione, irresponsabile dei contenuti che diffonde, e di ampliare, di contro, la nozione di editore, come tale responsabile dei contenuti, in modo da farvi entrare, in tale nozione, anche coloro che mettono semplicemente a disposizione del pubblico i link.


Vi abbiamo già parlato dello “streaming” a proposito della pirateria via Web e del ruolo, in linea di principio neutrale, degli ISP Internet Service Provider. In particolare abbiamo visto come l’attività di streaming costituisce, secondo la Corte di Giustizia UE, un atto di comunicazione al pubblico  anche se effettuata dagli ISP e che pertanto deve esserci sempre l’autorizzazione dell’autore delle varie opere trasmesse anche se vengono ripetute da programmi televisivi .


Molti ci chiedono che cosa sia, sotto il profilo tecnico, lo streaming, e che cosa lo differenzi dal più noto download di contenuti online tutelati dal diritto d’autore. La domanda è pertinente con rifermento alle differenti conseguenze che uno ragionevolmente si attende da un’operazione di downloading, al cui esito l’utente dispone dei file sul proprio dispositivo, e da un’altra operazione, lo streaming, che prevede il salvataggio solo temporaneo dei file nella memoria cache.


Sotto il profilo pratico e delle conseguenze giuridiche la Corte di Giustizia UE ha però precisato che non esiste alcuna differenza. E ciò era prevedibile se pensiamo alle precedenti pronunce intese a contrastare tutti i dispositivi atti a consentire l’accesso a siti di streaming illegali.


Lo abbiamo visto nel caso di Filmspeler, il negozio e-commerce olandese che commercializzava tali dispositivi come un metodo semplice per accedere a contenuti protetti rivendendoli poi con link preinstallati a siti di streaming: la Corte lussemburghese dichiarò illegali e sanzionò la vendita di tutti i lettori multimediali configurati per accedere facilmente a siti con contenuti pirata.


Il nucleo della motivazione verteva sul concetto di “comunicazione al pubblico” così come definita dalla direttiva UE sulla tutela del diritto d’autore (Dir. 2001/29 sulla armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione) e in tale concetto rientra anche l’atto di chi combina un hardware e un software per dare agli utenti “accesso diretto ad opere tutelate dal diritto d’autore rese pubbliche senza l’autorizzazione del titolare del diritto”.


Secondo la Corte di Giustizia UE, quindi, anche la riproduzione temporanea di un’opera protetta da copyright, come nel caso dello streaming, non è consentita senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore. Insomma la cache non fa la differenza. Anche se equiparare il download allo streaming sembra ragionevole più sul fronte di chi mette a disposizione determinati link piuttosto che su quello dell’ignaro utente che vi clicca sopra.


In sostanza, l’indirizzo della Corte di Giustizia UE, in coerenza con la previsione di “alto libello di protezione” da assicurare opere protette diffuse in Rete (considerando 9 Dir. 2001/29/CE) è di restringere il concetto di intermediario della comunicazione, irresponsabile dei contenuti che diffonde, e di ampliare, di contro, la nozione di editore, come tale responsabile dei contenuti, in modo da farvi entrare, in tale nozione, anche coloro che mettono semplicemente a disposizione del pubblico i link.


Per quanto riguarda i riferimenti normativi, non esiste una normativa specifica per lo streaming e il l testo di riferimento resta la legge sul diritto d’autore n. 633/1941.


Partiamo dall’art. 16, che prevede il diritto esclusivo dell’autore di diffondere e mettere a disposizione del pubblico la sua opera con l’utilizzo dei mezzi di diffusione a distanza, quali la radio, la televisione, la comunicazione via satellite, la ritrasmissione via cavo (si tratta, cioè, in sintesi, del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico) e arriviamo alle successive norme sanzionatorie (art. 171 ss) per i casi di trasmissioni abusive.


L’art. 171a-bis) sanziona chi mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa; l’art. 173-ter lettera a) sanziona chi abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo; e, alla lettera a-bis) sanziona chi, in violazione dell’articolo 16, comunica al pubblico, a fini di lucro, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere.


Si ponga attenzione alla previsione della «messa a disposizione dell’operain maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente», che riguarda in pratica la diffusione delle opere tutelate nell’Internet, anche queste quindi lecite solo se vi sia una previa autorizzazione dell’autore.


Il secondo comma dello stesso articolo 16 dice che il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico «non si esaurisce con alcun atto di comunicazione al pubblico, ivi compresi gli atti di messa a disposizione del pubblico» (l’on demand, in pratica); ciò significa che per ogni (atto di) diffusione dell’opera è necessaria la relativa autorizzazione degli autori e di tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione dell’opera.


In merito al linking si pone il quesito se l’inserimento di un link ad un sito possa costituire violazione delle norme sul diritto d’autore del contenuto ‘linkato’ e se, in quanto comunicazione al pubblico, richieda l’autorizzazione del titolare del contenuto originale.


La Corte è orientata, anche in questo caso, a tutelare i contenuti richiamati da link, per la cui riproduzione il consenso dell’autore si rende necessario. Abbiamo già affrontato la questione in uprecedente articolo e abbiamo ricordato come si interpreti in modo ampio la nozione di “comunicazione al pubblico” prevista dalla richiamata direttiva 2001/29/CE.


La Corte fa tuttavia le seguenti precisazioni.


Il “copia e incolla” di un link a un altro sito richiede l’autorizzazione del titolare del contenuto linkato solo quando il sito ospitante si rivolge a un “pubblico nuovo” rispetto a quello cui si rivolge il sito richiamato.


Questo significa, in pratica, che nella gran parte dei casi tale autorizzazione non è necessaria. Infatti tutte le volte che il sito linkato sia ad “accesso libero e gratuito” – come può essere un sito che faccia informazione anche audiovisiva – si può ben affermare che il pubblico sia lo stesso di quello del sito ospitante: la generalità degli utenti della Rete.


Di contro, l’autorizzazione sarà obbligatoria quando il sito ospitato consenta l’accesso ai propri contenuti solo previo abbonamento o sia protetto da password o altre misure tecnologiche.


Almeno i giudici lussemburghesi non mettono in discussione un concetto cardine di Internet, che nasce anarchica e libertaria: ciò che viene messo gratuitamente nella disponibilità degli utenti della Rete deve restare tale e non può essere sottoposto a limitazioni o autorizzazioni in nome di copyright. I diritti d’autore cessano nel momento stesso in cui l’autore del contenuto decide di aprire le proprie pagine all’intero mondo di Internet.


Si deve richiamare, in proposito, una sentenza del Tribunale di Frosinone n. 181 del 7 febbraio 2017 che ha precisato non essere di per sé illegale mettere a disposizione link a film in streaming quando si dimostri la totale assenza di fini di lucro da parte del fornitore del servizio: «Ne consegue che, al fine della commissione dell’illecito in esame, deve essere raccolta la prova dello specifico intento del file sharer di trarre dalla comunicazione al pubblico, per il tramite della messa in condivisione in rete di opere protette, un guadagno economicamente apprezzabile e non un mero risparmio di spesa».


Non è mancato chi ha sostenuto, dopo tale sentenza, la possibilità di utilizzare incondizionatamente collegamenti ipertestuali verso contenuti audiovisivi messi a disposizione via streaming nel caso in cui il soggetto che mette a disposizione i suddetti collegamenti non persegua uno scopo di lucro.


Non è possibile ignorare, in verità, il contrasto tra tale decisione e la giurisprudenza comunitaria.


Invero, secondo la Corte di Giustizia UE, l’assenza di scopo di lucro non basta: la pubblicazione di link non costituisce un atto di comunicazione al pubblico soltanto nei casi in cui i soggetti che pubblichino tali collegamenti non siano a conoscenza, o non possano ragionevolmente esserlo, dell’illegittima pubblicazione delle opere protette alle quali il collegamento rimanda.Pertanto, il criterio da applicare al fine di considerare abusiva la trasmissione non è soltanto la presenza o meno dello scopo di lucro, bensì la condizione soggettiva di conoscibilità, anche potenziale, dell’illegittimità dei contenuti a cui i collegamenti rinviano.

In sintesi, trasmettere musica, partite di calcio, film, opere audiovisive in genere. in streaming è legalmente possibile solo disponendo delle licenze e dei diritti sulle opere che si intende diffondere. È illegale quando non essendo titolari, nemmeno tramite licenza, dei diritti d’autore sui contenuti, si creino link a siti di streaming atti a diffondere tali contenuti

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Nel 2022 il volume di dati personali presente nel dark web è triplicato rispetto all’anno precedente. Si tratta soprattutto di indirizzi e-mail individuali o aziendali, password e numeri di telefono. Cresce anche la quantità di combinazioni disponibili: sempre più spesso le e-mail sono associate a una password (90,5% dei casi), dato quest’ultimo che circola di frequente anche in abbinamento allo username (71,7 per cento). Aumenta la presenza di informazioni relative alle carte di credito: oltre al numero si può reperire il codice di sicurezza (CVV – Card Verification Value) e la data di scadenza, nel 98,1% dei casi. Si tratta della combinazione di informazioni disponibili che registra il principale incremento rispetto al 2021: +10,5 per cento. È quanto evidenziano le ultime rilevazioni dell’Osservatorio Cyber realizzato da Crif, che analizza la vulnerabilità di persone e aziende agli attacchi informatici e interpreta i trend principali che riguardano i dati esposti in ambienti open e dark web. La classifica dei Paesi più esposti a scambio di dati di carte di credito vede in testa Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Brasile e India. L’Italia occupa il 14° posto al mondo. «Nel secondo semestre del 2022, nel dark web, si registra un sensibile incremento della presenza di informazioni relative alle carte di credito – commenta Beatrice Rubini, Executive Director di Crifd -, insieme a dati anagrafici e codici di sicurezza. Altro tema sensibile è quello relativo all’accesso al conto corrente, all’Iban combinato ad altre informazioni. Conoscere tanti dettagli consente di utilizzare i dati per attacchi di phishing molto mirati. Senza contare che attraverso le tecniche di ingegneria sociale si realizzano, sempre più spesso, messaggi difficili da interpretare nella loro autenticità, che fanno leva anche sull’emotività». Dal focus sulla situazione italiana fatto dall’Osservatorio Cyber di Crif emerge che le aree geografiche più interessate dal fenomeno della diffusione di dati nel dark web sono il Nord (37,8%) e il Centro (36%), ma in proporzione sono gli abitanti del Sud e del Nord Est che ricevono più alert. In particolare, le regioni in cui vengono allertate più persone sono Lazio (21,1%), Lombardia (14%) e Campania (7,9%), ma in proporzione il fenomeno degli avvisi interessa maggiormente gli abitanti di Sicilia, Molise e Umbria. Inoltre, grazie alla graduatoria delle e-mail più rilevate sul dark web, localizzando il provider, il dominio.it risulta il sesto maggiormente colpito dal furto di password online. Nel dark web sono le credenziali e-mail a essere più diffuse nel 2022, seguite dal numero di telefono e, in terza posizione, dal codice fiscale. Invece, le tipologie di dati più rilevati sull’open web, quindi pubblicamente accessibili, sono l’e-mail (46,7% dei dati rilevati) e il codice fiscale (34,5%) seguiti a distanza da numero di telefono (11,5%), username (3,7%) e indirizzo (3,7 per cento). «La nostra vita – aggiunge Rubini – si svolge anche in buona parte online, questo involontariamente ci porta a condividere un maggior numero di informazioni e spiega l’aumento della vulnerabilità a questi fenomeni. Si tratta di aspetti che possono anche non riguardare gli strumenti di pagamento, ma canali diversi come i social media. Accedere a questi account consente di acquisire nuove informazioni e arrivare ai contatti delle persone, attuando uno schema di frode che diventa un moltiplicatore». I furti di dati per l’accesso ai social, infatti, nell’ultimo anno fanno registrare un incremento del 125,8% a livello mondiale. Tramite un’analisi qualitativa dei contesti in cui i dati circolano, sono stati categorizzati gli account in base alla finalità di utilizzo. La maggior parte degli account rilevati sono di intrattenimento (37,2%), soprattutto giochi online e siti di incontri online. Al secondo posto si colloca il furto degli account di forum e siti web (28,4% degli account rilevati), in crescita del +23,6 per cento. Terza posizione per i social media. Sensibile il calo annuale (-59,3%) relativo ai furi di dati per l’accesso alle piattaforme di streaming, nel 2021 il numero degli account attivi in queste categorie era aumentato a seguito della pandemia, attirando anche gli interessi degli hacker