Il celebre cinismo umoristico di Julius von Kirchmann — che, per contestare la scientificità (in senso positivistico) della dottrina giuridica, sosteneva che due appropriate parole del legislatore mandano al macero intere biblioteche — esalta, malgré tout, un connotato necessario della dottrina irrisa: la storicità dell’esperienza giuridica e del pensiero che ne alimenta la conoscenza; esperienza e pensiero che si manifestano nel linguaggio. Connaturali all’universo linguistico son poi la variabilità diacronica delle parole che lo compongono e la loro frequente e instabile polisemia, sicché accade che le parole del legislatore cambino, ma la regola di giudizio permanga. Si danno così libri di diritto (non classificabili di storiografia giuridica) che — anche a prendere alla lettera il cinismo qui rievocato — non finiscono al macero; libri che, al contrario, possono contribuire, ieri come oggi, ad un’attività conoscitiva ed applicativa plausibile degli enunciati di legge. Sicché meritano — complice l’omaggio che una comunità di studiosi vuol tributare all’autore — di essere ristampati.