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APPROFONDIMENTI della nostra redazione

Somministrati: possibile una retribuzione inferiore a quella del personale dell’utilizzatore

Corriere delle Paghe | 9 febbraio 2023 | n. 2 | p. 28-30 | di Armando Montemarano

 

 

Non contrastano con il diritto dell’Unione europea né l’assunzione a termine dei lavoratori interinali né l’applicazione di un ccnl che preveda una retribuzione inferiore a quella dei dipendenti dell’utilizzatore purché sia assicurata la parità delle «condizioni di base» del lavoro

La direttiva 2008/104 istituisce un quadro normativo volto alla tutela dei lavoratori interinali. L’art. 5, in particolare, stabilisce che per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice le condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori interinali devono essere almeno identiche a quelle che si dovrebbero riservare loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro.

LA MASSIMA

Lavoro interinale – Art. 5 direttiva 2008/104 – Principio di parità di trattamento – Necessità di garantire, in caso di deroga a tale principio, la protezione globale dei lavoratori interinali – Ccnl applicato dall’agenzia di lavoro interinale – Previsione di una retribuzione inferiore a quella determinata dal ccnl applicato dall’utilizzatore – Diritto alla retribuzione nel periodo intercorrente tra una somministrazione e l’altra – Sindacato giurisdizionale dell’idoneità ad assicurare la parità delle condizioni di base di lavoro e d’occupazione

L’art. 5, par. 3, della direttiva 2008/104, relativa al lavoro tramite agenzia interinale, dev’essere interpretato nel senso che il rispetto dell’obbligo di garantire la protezione globale dei lavoratori interinali dev’essere valutato comparando, per un determinato lavoro, le condizioni di base di lavoro e d’occupazione applicabili ai lavoratori dipendenti dall’impresa utilizzatrice con quelle applicabili ai lavoratori avviati tramite agenzia interinale, per poter così determinare se i vantaggi compensativi concessi per quanto riguarda le condizioni di base consentano di controbilanciare gli effetti della differenza di trattamento subita. Siffatta interpretazione permette agli Stati di derogare, per quanto riguarda la retribuzione, al principio della parità di trattamento nel caso in cui, in particolare, i lavoratori interinali continuino ad essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra.

Corte di Giustizia Ue, Seconda Sezione, 15 dicembre 2022, C-311/21

Pres. Prechal, Rel. Arastey Sahún, Avv. Gen. Collins, Ric. CM., Res. Time Partner Personalmanagement GmbH

Applicando questo principio alla contrattazione collettiva quale fonte di determinazione del trattamento retributivo e normativo, il paragrafo 3 dello stesso art. 5 dispone che, dopo avere consultato le parti sociali, gli Stati membri possono accordare ad esse, al livello appropriato e alle condizioni previste, l’opzione di mantenere o concludere contratti collettivi che, nel rispetto della protezione globale dei lavoratori interinali, possano stabilire modalità alternative riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione, diverse da quelle disciplinate dai contratti collettivi applicati ai dipendenti dell’utilizzatore, purché sussista parità di trattamento delle «condizioni di base», per tali intendendosi, come chiarito dall’art. 3, par. 1, lett. f), della direttiva, le condizioni  relative a: 1) l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie e i giorni festivi; 2) la retribuzione.

Agli stessi fini devono essere garantite, a norma di quanto stabiliscono le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, i contratti collettivi e le altre disposizioni di portata generale: 1) la protezione delle donne in stato di gravidanza e in periodo di allattamento nonché la protezione dei bambini e dei giovani; b) la parità di trattamento fra uomini e donne e ogni azione volta a combattere qualsiasi forma di discriminazione fondata su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o tendenze sessuali.

Per quanto riguarda in modo specifico la retribuzione, gli Stati possono, previa consultazione delle parti sociali, prevedere una deroga al principio paritario nel caso in cui i lavoratori interinali legati da un contratto a tempo indeterminato ad un’agenzia continuino ad essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra.

Il caso

Un’agenzia di lavoro interinale tedesca metteva a disposizione di un’impresa del settore della distribuzione al dettaglio una lavoratrice, a sua volta assunta a termine dall’agenzia.

I lavoratori comparabili dell’impresa utilizzatrice, che applicava il contratto collettivo del settore commercio, percepivano una retribuzione oraria lorda di 13,64 euro, a fronte di quella di 9,23 euro determinata dalla contrattazione collettiva applicata dall’agenzia.

L’interessata ricorreva giudizialmente, chiedendo che le fosse versata la differenza tra la retribuzione complessivamente corrispostale per il lavoro prestato in regime di somministrazione e quella dovuta ai dipendenti dell’impresa utilizzatrice.

Il giudice nazionale sottoponeva alla Corte di Lussemburgo una serie di questioni pregiudiziali.

La nozione di «protezione globale»

Con una prima questione, il giudice del rinvio domandava se la direttiva richiede, con il suo riferimento alla nozione di «protezione globale dei lavoratori tramite agenzia interinale», di prendere in considerazione un livello di tutela dei lavoratori interinali superiore a quello fissato, per i lavoratori in generale, in materia di condizioni di lavoro e d’occupazione.

La risposta muove dalla considerazione che la facoltà riconosciuta agli Stati membri di consentire alle parti sociali di concludere contratti collettivi che autorizzino differenze di trattamento in materia di «condizioni di base» dei lavoratori interinali è controbilanciata dall’obbligo di garantire a tali lavoratori una «protezione globale», non definita tuttavia dalla direttiva 104. Ad avviso della Corte, la portata della specifica disposizione della direttiva è limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che la deroga al principio della parità di trattamento permette di proteggere, vale a dire dell’interesse relativo alla necessità di far fronte in modo flessibile alla diversità dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali (Corte Giust. Ue 21 ottobre 2010, C-227/09). E la «protezione globale» viene garantita solo se vengono concessi, come corrispettivo, vantaggi volti a compensare gli effetti della differenza di trattamento.

Questi vantaggi devono riferirsi alle condizioni di base definite dal sopra citato art. 3 della direttiva e, cioè, quelle relative all’orario di lavoro, alle ore di lavoro straordinario, alle pause, ai periodi di riposo, al lavoro notturno, alle ferie, ai giorni festivi, nonché alla retribuzione. Siffatta interpretazione permette sostanzialmente agli Stati di derogare, per quanto riguarda la retribuzione, al principio della parità di trattamento nel caso in cui, in particolare, i lavoratori interinali continuino ad essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra.

L’assunzione a tempo determinato

Con la seconda questione, il giudice del rinvio domandava se l’obbligo di garantire la protezione globale richiedesse la sussistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore interinale e l’agenzia, in modo che il diritto alla retribuzione nei periodi di mancato utilizzo in somministrazione controbilanci effettivamente la disparità nel trattamento retributivo.

Ad avviso della Corte, la direttiva non dà ingresso ad una distinzione aprioristica a seconda del carattere, determinato o indeterminato, della durata del contratto di lavoro con l’agenzia di lavoro interinale; occorre, tuttavia, che ai lavoratori interinali assunti dall’agenzia a tempo determinato sia concesso un vantaggio sostanziale, che consenta di compensare la differenza di retribuzione che essi subiscono nel corso della missione rispetto a un lavoratore comparabile dell’impresa utilizzatrice.

L’obbligo di garantire la protezione globale dei lavoratori interinali non richiede quindi, necessariamente e aprioristicamente, che costoro siano legati all’agenzia da un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Il ruolo della normativa nazionale

Con la terza questione, il giudice del rinvio chiedeva se l’art. 5, par. 3, della direttiva dovesse essere interpretato nel senso che debba essere il legislatore nazionale a prevedere le condizioni e i criteri volti a garantire la protezione globale effettiva dei lavoratori interinali, qualora lo Stato o i contratti collettivi autorizzino differenze di trattamento in materia di condizioni di base di lavoro e d’occupazione a scapito di questi lavoratori.

La facoltà riconosciuta agli Stati membri di consentire alle parti sociali di concludere contratti collettivi che derogano al principio della parità di trattamento dei lavoratori interinali non li dispensa dall’obbligo di garantire, mediante provvedimenti legislativi, regolamentari o amministrativi, che tali lavoratori possano fruire, in tutta la sua ampiezza, della protezione globale loro conferita dalla direttiva (Corte Giust. Ue sentenza del 17 marzo 2022, C-232/20).

Le stesse parti sociali, quando concludono un contratto collettivo rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 104, devono pertanto garantire la protezione globale dei lavoratori interinali (Corte Giust. Ue 19 settembre 2018, C-312/17).

Il sindacato giurisdizionale

Con un’ulteriore questione, il giudice del rinvio chiedeva se i contratti collettivi che autorizzano differenze di trattamento in materia di condizioni di base a scapito dei lavoratori interinali possano essere oggetto di un controllo giurisdizionale al fine di verificare che le parti sociali rispettino l’obbligo di garantire la protezione globale di tali lavoratori.

L’autonomia delle parti sociali, proclamata e riconosciuta dal diritto dell’Unione, implica che, in occasione della fase di negoziazione, la quale riguarda esclusivamente le parti sociali, queste possano dialogare e agire liberamente, senza ricevere ordini o istruzioni da chicchessia, e segnatamente da Stati membri o da istituzioni dell’Unione (Corte Giust. Ue 2 settembre 2021, C-928/19). Tuttavia, siccome il diritto alla negoziazione collettiva, proclamato all’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali, rientra nell’ambito delle disposizioni del diritto dell’Unione, lo si deve esercitare conformemente a quest’ultimo e i contratti collettivi sono soggetti ad un controllo giurisdizionale effettivo.

Gli aspetti della direttiva 104 presi in esame dalla sentenza della Corte sono versati nel nostro diritto dall’art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, secondo cui «per tutta la durata della missione presso l’utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore».

Con il ricorso all’avverbio «complessivamente» il legislatore parrebbe affidare al giudice la valutazione comparativa tra le «condizioni di base» riservate al lavoratore somministrato e quelle riservate al personale dipendente dell’utilizzatore, al fine di sindacare se sia stato adempiuto l’obbligo della «protezione globale» quando la contrattazione collettiva applicata al rapporto durante la singola missione non contenga una disciplina uniforme tra lavoratori somministrati e dipendenti dell’impresa utilizzatrice.

Sul versante retributivo la questione è risolta in modo definitivo dallo stesso contratto collettivo per i lavoratori in somministrazione delle agenzie per il lavoro (art. 30 c.c.n.l. 15 ottobre 2019), secondo il quale «al lavoratore è corrisposto un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti dell’impresa utilizzatrice inquadrati al corrispondente livello, secondo la contrattazione collettiva applicata alla stessa».

Nel nostro ordinamento vige, dunque, un principio di parità di trattamento retributivo a parità di mansioni svolte tra dipendenti dell’agenzia e dipendenti dell’utilizzatore (App. Torino, Sez. Lav., 15 dicembre 2022, n. 671).

La giurisprudenza di merito converge nel ritenere che ai lavoratori in somministrazione la disposizione dettata dal citato art. 35 riconosce pure «il medesimo trattamento normativo correlato alle previsioni dei contratti collettivi dell’utilizzatore» (Trib. Bergamo, Sez. Lav., 21 luglio 2020, n. 378; Trib. Bari, Sez. Lav., 28 maggio 2020, n. 1408) o al più, se non il «medesimo» trattamento, quanto meno un trattamento «non inferiore» a quello previsto da quei contratti collettivi (Trib. Roma, Sez. Lav., 11 marzo 2019, n. 2378).

 

 

Somministrazione, temporaneità valutabile pure in caso di decadenza

Il Sole 24 Ore|14 ottobre 2022|NORME E TRIBUTI| p. 36|di Angelo Zambelli

La Cassazione, con la sentenza 29570/2022 dell’11 ottobre, torna in pochi mesi (dopo la sentenza 22861/2022 del 21 luglio) a pronunciarsi sulla possibilità che, nonostante l’intervenuta decadenza del prestatore dall’impugnazione del singolo contratto di somministrazione a termine, il reiterato invio mediante missioni di un lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice possa condurre all’accertamento di un’ipotesi di ricorso abusivo all’istituto della somministrazione alla luce delle indicazioni della Corte di giustizia europea. Nel caso sottoposto ai giudici di legittimità la Corte d’appello di Brescia, esclusa la configurabilità di un unico rapporto di lavoro in presenza di plurimi contratti e confermata la decadenza dalla loro impugnazione in cui era incorso il lavoratore, aveva escluso la configurabilità di un uso distorto della somministrazione a termine. Il lavoratore ha dunque richiesto di valutare la congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale rispetto all’articolo 5, comma 5, della direttiva 2008/104 sul lavoro tramite agenzia. Sul punto, le pronunce della Corte di giustizia richiamate dalla Corte di legittimità (sentenze 14 ottobre 2020, causa C-681/18 e 17 marzo 2022, causa C-232/20), individuata la «temporaneità» quale requisito immanente e strutturale del lavoro somministrato, impongono di verificare se la pluralità di missioni del medesimo lavoratore presso la stessa impresa determini in concreto una complessiva durata dell’attività presso l’utilizzatore tale da non poter «ragionevolmente qualificarsi temporanea»: da ciò potrebbe infatti ricavarsi un ricorso abusivo al lavoro somministrato in base all’articolo 5, comma 5, della direttiva 2008/104. Sulla scorta di tali considerazioni la Cassazione, rilevato che la disciplina dettata dal Dlgs 81/2015 in tema di somministrazione a termine applicabile al caso di specie (ante decreto Dignità) non prevede altro se non i limiti quantitativi previsti dal Ccnl), ha ritenuto che l’intervenuta decadenza del lavoratore dall’impugnazione dei singoli contratti impedisce che la vicenda contrattuale sia fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore, ma che tale successione di missioni può considerarsi «fattualmente» rilevante, quale «antecedente storico», per la valutazione sulla possibile elusione del requisito della «temporaneità» che si ricava dalla direttiva 2008/104. Il principio riportato, secondo cui i contratti precedenti possono essere tenuti in considerazione quali «antecedenti storici» seppur non impugnati nei termini decadenziali, non può evidentemente estendersi né ai contratti a tempo determinato – la cui disciplina, al contrario della somministrazione, ha da tempo numerosi e ben definiti vincoli e limiti (analiticamente richiamati dalla Cassazione nella sentenza in esame), senz’altro idonei a tutelare il lavoratore dall’abuso di tale strumento – né, pare di poter dire, ai contratti di somministrazione a termine stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto Dignità, che ha esteso tali limiti anche alla somministrazione

 

Somministrazione, temporaneità valutabile pure in caso di decadenza

Il Sole 24 Ore|14 ottobre 2022|NORME E TRIBUTI| p. 36|di Angelo Zambelli

La Cassazione, con la sentenza 29570/2022 dell’11 ottobre, torna in pochi mesi (dopo la sentenza 22861/2022 del 21 luglio) a pronunciarsi sulla possibilità che, nonostante l’intervenuta decadenza del prestatore dall’impugnazione del singolo contratto di somministrazione a termine, il reiterato invio mediante missioni di un lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice possa condurre all’accertamento di un’ipotesi di ricorso abusivo all’istituto della somministrazione alla luce delle indicazioni della Corte di giustizia europea. Nel caso sottoposto ai giudici di legittimità la Corte d’appello di Brescia, esclusa la configurabilità di un unico rapporto di lavoro in presenza di plurimi contratti e confermata la decadenza dalla loro impugnazione in cui era incorso il lavoratore, aveva escluso la configurabilità di un uso distorto della somministrazione a termine. Il lavoratore ha dunque richiesto di valutare la congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale rispetto all’articolo 5, comma 5, della direttiva 2008/104 sul lavoro tramite agenzia. Sul punto, le pronunce della Corte di giustizia richiamate dalla Corte di legittimità (sentenze 14 ottobre 2020, causa C-681/18 e 17 marzo 2022, causa C-232/20), individuata la «temporaneità» quale requisito immanente e strutturale del lavoro somministrato, impongono di verificare se la pluralità di missioni del medesimo lavoratore presso la stessa impresa determini in concreto una complessiva durata dell’attività presso l’utilizzatore tale da non poter «ragionevolmente qualificarsi temporanea»: da ciò potrebbe infatti ricavarsi un ricorso abusivo al lavoro somministrato in base all’articolo 5, comma 5, della direttiva 2008/104. Sulla scorta di tali considerazioni la Cassazione, rilevato che la disciplina dettata dal Dlgs 81/2015 in tema di somministrazione a termine applicabile al caso di specie (ante decreto Dignità) non prevede altro se non i limiti quantitativi previsti dal Ccnl), ha ritenuto che l’intervenuta decadenza del lavoratore dall’impugnazione dei singoli contratti impedisce che la vicenda contrattuale sia fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore, ma che tale successione di missioni può considerarsi «fattualmente» rilevante, quale «antecedente storico», per la valutazione sulla possibile elusione del requisito della «temporaneità» che si ricava dalla direttiva 2008/104. Il principio riportato, secondo cui i contratti precedenti possono essere tenuti in considerazione quali «antecedenti storici» seppur non impugnati nei termini decadenziali, non può evidentemente estendersi né ai contratti a tempo determinato – la cui disciplina, al contrario della somministrazione, ha da tempo numerosi e ben definiti vincoli e limiti (analiticamente richiamati dalla Cassazione nella sentenza in esame), senz’altro idonei a tutelare il lavoratore dall’abuso di tale strumento – né, pare di poter dire, ai contratti di somministrazione a termine stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto Dignità, che ha esteso tali limiti anche alla somministrazione